Ravenna
di Donata la svitata
Disegni di Rizzatto
Il
gatto della cartolaia di fronte, che se ne stava seduto sulla coda
a godersi la siesta del sabato, non ci capiva proprio più
niente. Si
domandava cosa stessero facendo quei mattoidi lì, dirimpettai,
tutti ammonticchiati su un unico marciapiede, belli vestiti della
festa, con faccia giuliva, un sorriso smagliante, perpetuo, e un
po' ebete sulle labbra, una borsa a tracolla, un giornale sotto
il braccio, una gialla valigia in una mano, mentre l'altra stringeva
freneticamente il dito della mamma, una caramella in bocca, e un
piede sollevato, pronto a posarsi sul predellino del pullman.
Inoltre c'era un signore molto agitato, con un gigantesco paio di
occhiali neri, che percorreva vertiginosamente avanti e indietro
quello stesso tratto di territorio, bofonchiando qualcosa di molto
monotono, e parlando ogni tanto sulla faccia stupita di un poveraccio
con l'espressione da giocondo, che abbracciava amorosamente il volante
di uno dei due bestioni rossi.
Osservava il tutto una schiera di professoresse benevolmente ridacchianti,
e un intero preside che si accarezzava mento con aria compiaciuta.
II gatto allora pensò che stessero partendo. E infatti, bisogna
riconoscerlo, perché non è giusto defraudare nessuno
dei dovuti meriti, stavano proprio partendo. Infatti nessuno, per
ora, ha dimostrato il contrario. No, perché se qualcuno volesse
farlo, siamo pronti ad ascoltarlo. Ma credo proprio che sia così.
Prova ne è che alle nove e mezzo di sera non erano più
lì davanti alla scuola col piede sollevato, e il sorriso
ebete, ma se ne stavano tutti seduti pensosamente davanti a una
problematica costoletta, costituita evidentemente di un connettivo
fibroso molto resistente, nientemeno che a una distintissima Marina
di Ravenna.
La cosa, tuttavia, sarebbe stata più tragica, se quei poveracci,
che erano stati per sei ore a cantare, seduti sui braccioli, o su
teste di amici per coprire la voce stridula degli stomachi che
non volevano saperne di stare zitti, non avessero avuto la fame
che avevano. Ci si astiene dal descrivere la minestrina, perché
sarebbe veramente di cattivo gusto. Dopo mangiato, fatta una passeggiatina
a 40 al chiar di fanali sul movimentatissimo viale Litoraneo,dove
ogni tanto i Ravennati facevano correre una macchina per far vedere
che ce l'avevano anche loro, ci siamo messi il cappotto e siamo
andati nelle rispettive camere da letto. Lì a lungo fra noi
discutevamo sull'opportunità di mettere le lenzuola ad asciugare,
perché evidentemente il sudore del cavallo a cui apparteneva
l'interno del materasso, risaliva alla superficie (ed ora noi sfoggiamo
una avvincente voce da malavita, perché pare che le corde
vocali ne abbiano risentito, e dei nasoni paonazzi deformati da
una cosiddetta affezione nasale).
Però le soddisfazioni dell'arte sono un'altra cosa. E quando
ti trovi davanti a un "puto con le gambôte grosse"
pieno di plasticità, di movimento, di ricerca espressiva,
circondato da motivi paesistici con reminiscenze ellenistiche, o
a una patetica "fuga di archêti", ti si riempie
il cuore di tenerezza.
Tanto più che ci avevamo anche una bionda incendiaria, con
qualche dente d'argento, un pataccone di guida specializzata, che
ci insegnava "la bellessa delle trabeasioni e l'ubicasione
delle chiêgse, mo dì ben so'".
E alla sera, dopo una scorpacciata di colonne, sarcofagi, mosaici,
tombe di Dante, ti sembra di gustare una frittata calcolata, staticamente
perfetta, tutta serrata nel ritmo delle linee, mentre le sale del
"Mare e Pineta", col gioco concentrico delle arcate, dà
per risultante un meraviglioso effetto di fantasia, di scioltezza,
di libertà espressiva, perché
presta ai giochi della luce, la varietà e la molteplicità
delle membrature, le sue scenografiche prospettive di muri piatti
e giallastri e di vassoi di finocchi allineati, presentati poi dalle
mani giottesche delle cameriere.
Le quali erano davvero delle stranissime creature, volubili e superficiali
nei sentimenti e nelle manifestazioni. Il primo giorno facevamo
graziosissimi inchini colla testa e melliflui sorrisi, o piccoli
inviti a concedere loro l'onore di servirci, e alla fine, probabilmente
solo perché facevamo un po' gli spiritosi, o ci rifiutavamo
di pagare l'acqua minerale, o facevamo il tiro alla fune coi tovaglioli
annodati, o una modesta baldoria fino alle 2 di notte, han cominciato
a fare ostruzionismo, e per poco non ti lanciavano le bistecche
da un lato all'altro della stanza, e non ti obbligavano a bere il
vomitevole contenuto delle brocche che mettevano a tavola, e che
probabilmente era acqua dei fiori, presentata candidamente come
acqua potabile con l'itterizia.
Ed ecco (oh, miseria umana!), gia che al mondo "tout passe,
tout casse, tout lasse", mercoledì mattina, i miseri
resti di una gloriosa spedizione, per cui era il caso di dire "eran
300, giovani e forti e sono morti", trascinarsi con fatica
su per le scale del Parini, alle 10 di mattina, a rendere di nuovo
omaggio al Professore di Greco, agli esercizi di matematica, alle
ambigue e ingozzanti pizze della bidella Maria, e al sempre amato
Signor Preside, cui le loro anime innocenti e poetiche avevano cantato,
fino alla mezzanotte del giorno prima: "Fra le rose e le violette
ci sta bene anche una foglia, noi vogliamo tanto bene al Virginio
Garavoglia!!!!".
DONATA
KALLIANY
L'Associazione
Studentesca Pariniana e la redazione della Zanzara ringraziano sentitamente
a nome di tutti i pariniani il Signor Preside e il Professor Coen
per la riuscitissima gita a Ravenna.
Da
"la Zanzara", anno X, numero 6, pagg.5, 6, marzo 1957 |