Marzo 1957 - GITA A RAVENNA

Studenti del liceo col preside Garavoglia davanti al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

Sulla spiaggia di Marina di Ravenna

fotografie fornite da Piero Peraldo

Ravenna
di Donata la svitata
Disegni di Rizzatto

Il gatto della cartolaia di fronte, che se ne stava seduto sulla coda a godersi la siesta del sabato, non ci capiva proprio più niente. Si domandava cosa stessero facendo quei mattoidi lì, dirimpettai, tutti ammonticchiati su un unico marciapiede, belli vestiti della festa, con faccia giuliva, un sorriso smagliante, perpetuo, e un po' ebete sulle labbra, una borsa a tracolla, un giornale sotto il braccio, una gialla valigia in una mano, mentre l'altra stringeva freneticamente il dito della mamma, una caramella in bocca, e un piede sollevato, pronto a posarsi sul predellino del pullman.
Inoltre c'era un signore molto agitato, con un gigantesco paio di occhiali neri, che percorreva vertiginosamente avanti e indietro quello stesso tratto di territorio, bofonchiando qualcosa di molto monotono, e parlando ogni tanto sulla faccia stupita di un poveraccio con l'espressione da giocondo, che abbracciava amorosamente il volante di uno dei due bestioni rossi.
Osservava il tutto una schiera di professoresse benevolmente ridacchianti, e un intero preside che si accarezzava mento con aria compiaciuta.
II gatto allora pensò che stessero partendo. E infatti, bisogna riconoscerlo, perché non è giusto defraudare nessuno dei dovuti meriti, stavano proprio partendo. Infatti nessuno, per ora, ha dimostrato il contrario. No, perché se qualcuno volesse farlo, siamo pronti ad ascoltarlo. Ma credo proprio che sia così. Prova ne è che alle nove e mezzo di sera non erano più lì davanti alla scuola col piede sollevato, e il sorriso ebete, ma se ne stavano tutti seduti pensosamente davanti a una problematica costoletta, costituita evidentemente di un connettivo fibroso molto resistente, nientemeno che a una distintissima Marina di Ravenna.
La cosa, tuttavia, sarebbe stata più tragica, se quei poveracci, che erano stati per sei ore a cantare, seduti sui braccioli, o su teste di amici per coprire la voce stridula degli stomachi che non volevano saperne di stare zitti, non avessero avuto la fame che avevano. Ci si astiene dal descrivere la minestrina, perché sarebbe veramente di cattivo gusto. Dopo mangiato, fatta una passeggiatina a 40 al chiar di fanali sul movimentatissimo viale Litoraneo,dove ogni tanto i Ravennati facevano correre una macchina per far vedere che ce l'avevano anche loro, ci siamo messi il cappotto e siamo andati nelle rispettive camere da letto. Lì a lungo fra noi discutevamo sull'opportunità di mettere le lenzuola ad asciugare, perché evidentemente il sudore del cavallo a cui apparteneva l'interno del materasso, risaliva alla superficie (ed ora noi sfoggiamo una avvincente voce da malavita, perché pare che le corde vocali ne abbiano risentito, e dei nasoni paonazzi deformati da una cosiddetta affezione nasale).
Però le soddisfazioni dell'arte sono un'altra cosa. E quando ti trovi davanti a un "puto con le gambôte grosse" pieno di plasticità, di movimento, di ricerca espressiva, circondato da motivi paesistici con reminiscenze ellenistiche, o a una patetica "fuga di archêti", ti si riempie il cuore di tenerezza.
Tanto più che ci avevamo anche una bionda incendiaria, con qualche dente d'argento, un pataccone di guida specializzata, che ci insegnava "la bellessa delle trabeasioni e l'ubicasione delle chiêgse, mo dì ben so'".
E alla sera, dopo una scorpacciata di colonne, sarcofagi, mosaici, tombe di Dante, ti sembra di gustare una frittata calcolata, staticamente perfetta, tutta serrata nel ritmo delle linee, mentre le sale del "Mare e Pineta", col gioco concentrico delle arcate, dà per risultante un meraviglioso effetto di fantasia, di scioltezza, di libertà espressiva, perché presta ai giochi della luce, la varietà e la molteplicità delle membrature, le sue scenografiche prospettive di muri piatti e giallastri e di vassoi di finocchi allineati, presentati poi dalle mani giottesche delle cameriere.
Le quali erano davvero delle stranissime creature, volubili e superficiali nei sentimenti e nelle manifestazioni. Il primo giorno facevamo graziosissimi inchini colla testa e melliflui sorrisi, o piccoli inviti a concedere loro l'onore di servirci, e alla fine, probabilmente solo perché facevamo un po' gli spiritosi, o ci rifiutavamo di pagare l'acqua minerale, o facevamo il tiro alla fune coi tovaglioli annodati, o una modesta baldoria fino alle 2 di notte, han cominciato a fare ostruzionismo, e per poco non ti lanciavano le bistecche da un lato all'altro della stanza, e non ti obbligavano a bere il vomitevole contenuto delle brocche che mettevano a tavola, e che probabilmente era acqua dei fiori, presentata candidamente come acqua potabile con l'itterizia.
Ed ecco (oh, miseria umana!), gia che al mondo "tout passe, tout casse, tout lasse", mercoledì mattina, i miseri resti di una gloriosa spedizione, per cui era il caso di dire "eran 300, giovani e forti e sono morti", trascinarsi con fatica su per le scale del Parini, alle 10 di mattina, a rendere di nuovo omaggio al Professore di Greco, agli esercizi di matematica, alle ambigue e ingozzanti pizze della bidella Maria, e al sempre amato Signor Preside, cui le loro anime innocenti e poetiche avevano cantato, fino alla mezzanotte del giorno prima: "Fra le rose e le violette ci sta bene anche una foglia, noi vogliamo tanto bene al Virginio Garavoglia!!!!".

DONATA KALLIANY

 

 

L'Associazione Studentesca Pariniana e la redazione della Zanzara ringraziano sentitamente a nome di tutti i pariniani il Signor Preside e il Professor Coen per la riuscitissima gita a Ravenna.

 

 

 

Da "la Zanzara", anno X, numero 6, pagg.5, 6, marzo 1957