Quarantasei
anni dopo. |
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Il
compagno sconosciuto
parlano gli studenti della serale
Permettete?
Ci presentiamo
Grazie.
Per l’inaspettata quanto graditissima cessione di questa pagina alle
nostre penne di studenti serali pariniani.
I giorni che ci separano dal termine di consegna
di essa sono pochissimi.
A questa notizia è seguito lo spremere
delle sanse del nostro cervello e giù goccioloni di parole
e di idee.
Da qualche parte è stato suggerito
che le domande che voi diurni avete sulla punta della lingua sono:
chi siete, che cosa fate voi della serale? Rispondiamo senz’altro
accennato al come trascorriamo la giornata tralasciando di menzionare
la vita di quelli che abitano in provincia e che passano più
tempo su treni e tram che nel proprio letto.
Un velo di nebbia avvolge la città
appesantendo la linea delle cose e bagnando strade e giardini, petulante
e stridula la sveglia trilla. Sono le 6. La giornata dello studente
lavoratore ha inizio. Un colpo d’acqua sul muso, una tazza di latte
e una secchiata di un’ora o poco più.
Poi al lavoro. Quattro ore dense di preoccupazioni:
vuoi in un ufficio, vuoi nel vociare di un magazzino, o dietro il
banco di una bottega, o a portare a domicilio casse di «barbera»
(e qui vedo il risolino un po’ sardonico del mio compagno di banco
che ne sa qualche cosa).
A mezzogiorno lo studente popola le mense
e le trattorie e nel parlottio e nel frastuono di stoviglie ripassa
mentalmente il metodo di allevamento delle api o la percentuale di
nati-morti degli ultimi dieci anni.
Quindi ritorna per altre quattro ore da chi
gli ha comprato la giornata a un tanto il mese.
Lo rivediamo a scuola, seduto nei banchi in
cui voi sedete coi gomiti, come voi, appoggiati sul banco di dietro.
Diritto, economia, tecnica, ragioneria, matematica, italiano, storia,
geografia, merceologia, francese, inglese... ce n’è per tutti.
I professori snocciolano le materie come grani di rosario e noi le
digeriamo come i bachi le foglie del gelso.
Qui è doveroso sottolineare, per amor
di verità, lo spirito molto comprensivo della quasi totalità
dei nostri insegnanti che capiscono quanto duro possa essere il legno
dei banchi dopo una giornata di fatica.
La notte ci sorprende sul tram o chini sul
piatto di minestra guardando tra un boccone e l’altro il finale di
studio uno con Walter e nei giorni più fortunati le gambe di
Zizi.
Forse ci chiederete chi ce lo fa fare questa
vita. Ce la fa fare la convinzione che il mondo non è da usare
così com’è, ma è dovere ed impegno di tutti e
di ciascuno di plasmarlo, arricchirlo, renderlo più civile
e felice e giusto. La forza di continuare ci è data da questo
nostro sentirci responsabili del futuro dei nostri figli e dei figli
dei nostri figli i quali vivranno nel mondo che noi avremo loro preparato.
LUIGI RAVASI
Il nostro sciopero
Il 22 e 23 gennaio un avvenimento insolito,
lo sciopero degli studenti serali, ha interessato la stampa e l’opinione
pubblica della nostra città.
Il motivo per il quale detta astensione dalle
lezioni ha avuto larga risonanza, va ricercato indubbiamente nel fatto
che è stata la capitale del tanto strombazzato miracolo economico
ad ospitare la manifestazione, prima nel suo genere.
Milano, il Centro che nel nostro paese è
all’avanguardia in tutti i campi e che da diverso tempo ha assunto
e assume l’iniziativa di manifestazioni destinate dopo breve tempo
ad avere carattere nazionale, ha voluto così mostrare l’altra
faccia del succitato miracolo economico, di quel fenomeno cioè
che sembra aver elargito i propri benefici ad un esiguo numero di
persone, ad una elite privilegiata, e di riflesso aver provocato una
enorme confusione nelle cortecce cerebrali di coloro, che, poverini,
ne parlano con entusiastica convinzione, pur dovendo accontentarsi
delle briciole di «cotanto ben di Dio».
I giovani che le sere di martedì e
mercoledì scorsi hanno disertato le aule, onde ottenere condizioni
più umane di lavoro e di studio, non presentano richieste inaccettabili,
non accampano pretese assurde.
Chiedono che, nel tempo in cui più
o meno tutti i settori lavorativi stanno lottando per conseguire giuste
migliorie nel campo economico e sociale, anche il loro sacrificio
venga considerato con maggior obiettività, che vengano loro
assicurate concessioni atte a favorire una più proficua loro
applicazione nello studio.
Propongono che siano i datori di lavoro, coloro che domani si avvarranno
della loro preziosa opera di ragionieri, di tecnici, ecc. a facilitare
la loro frequenza con una riduzione dell’orario lavorativo, mediante
una disposizione di legge che permetta loro anche di disporre di periodi
di tempo in prossimità di esami e di scrutini, allo scopo di
affrontare i medesimi con una preparazione adeguata, senza che al
riguardo i loro mensili abbiano a risentire di ammanchi o trattenute.
Chiedono inoltre che sia lo Stato (oppure
il Comune), a fornire i libri di testo agli studenti lavoratori, seguendo
l’esempio di numerosi altri Paesi, anche limitrofi al nostro.
Non si possono certamente definire pretenziose le richieste avanzate
dal mondo della scuola serale: soprattutto perché dette richieste
vengono da giovani costretti sovente a lottare contro la stanchezza
che il lavoro di qualche ora prima ha arrecato, contro il sonno quando
lo studio di lezioni complesse obbliga a rimanere desti oltre il lecito,
e, non di rado, con la poca comprensione di qualche insegnante.
Anche se i fogli conservati di casa nostra
hanno liquidato l’avvenimento dello sciopero con commenti telegrafici,
nonché leggermente ironici, anche se alcuni passanti depositari
di mentalità decisamente superate, hanno scosso il capo in
segno di disapprovazione al vedere il corteo degli studenti dirigersi
in piazza S. Stefano, la manifestazione è pienamente riuscita.
È stato questo un atto di coraggio compiuto da giovani vani.
Una agitazione che si può collegare
a tante altre che ogni giorno, sotto il cielo di tutti i Paesi, i
giovani compiono per liberare le proprie personalità da quei
preconcetti e pregiudizi atavici dei quali sistemi educativi di un
anacronismo perfetto li hanno gratificati.
È una lotta che non deve conoscere remore: la classe dirigente,
la casta dei commendatori con barba a pizzo e fuoriserie bicolore,
il ceto di coloro che hanno creato e favorito il dilagare della corruzione,
si è più di una volta dimostrata impreparata a risolvere
i problemi che assillano il Paese.
È compito dei giovani specialmente
di coloro che, come gli studenti serali, hanno già avuto il
primo brusco contatto con la realtà della vita, il combattere
perché iniquità, certe nefandezze, abbiano a scomparire
ed a non più ripetersi. Sono i giovani che debbono far crollare
il piedistallo di ambiguità e di ipocrisia sul quale poggia
questa Società sleale e marcia: solo così avranno la
certezza di far percorrere ai propri figli una strada sgombra da ostacoli.
UGO GIULIANI
La dolce vita
(dello studente serale)
Quando
le fabbriche e gli uffici della città terminano le loro attività
giornaliere ed eruttano dalle loro porte fiumane di operai e di impiegati,
un osservatore non prevenuto potrebbe concludere: ecco, tutta questa
gente ha terminata la sua fatica giornaliera ed ora se ne va a casa
per godere qualche ora di riposo e di tranquillità.
Non sarebbe un commento esatto; almeno non
lo sarebbe per la totalità, e posso anzi affermare che migliaia
di ragazzi come me sono pronti a dirvelo come e forse meglio di come
non ci riesca io. Vi è una categoria di lavoratori che, la
sera, terminato alle diciotto e trenta il suo lavoro remunerato, si
reca volontariamente non a casa a riposare dalla fatica giornaliera,
ma a seguire le lezioni di un corso scolastico serale che possa migliorare
la sua posizione sociale e, diciamolo pure, la sua remunerazione che
è quasi sempre esigua.
Lo studente lavoratore può assommare,
settimanalmente e se il datore di lavoro non calca la mano cinquantotto
ore di lavoro, le normali quaranta lavorative più diciotto
scolastiche.
Non parliamo poi dei disagi che tutto questo
comporta. È superfluo dire che, se le lezioni terminano alle
ventuno e trenta, è matematicamente impossibile arrivare a
casa prima delle ventidue, mentre, al contrario, è molto ma
molto facile arrivarci più tardi.
Inoltre, dopo aver cenato (alle. 22! ) si è costretti a mettere
mano ai libri e a fare le ore piccole per prepararsi alle lezioni
della sera successiva; il tutto corredato dall’idea che l’indomani
ci si deve alzare alle sette per giungere puntuali in ufficio ed evitare
la sfuriata del superiore per il ritardo.
Questo per ciò che riguarda gli inconvenienti
tecnici; per ciò che si riferisce poi al fattore morale, il
programma non è poi di tanto migliore: lo studente lavoratore
è infatti trattato a pesci in faccia sia nell’ambiente lavorativo
sia, qui sta il brutto, nell’ambito scolastico. Non è raro
il caso che, chiedendo un permesso di entrata in ritardo ci si senta
rispondere: «Se invece di andare a mangiare il toast venissi
dritto a scuola, arriveresti puntuale»; al che, questo povero
diavolo d’uno studente serale che magari ha fatto la strada di corsa
per ridurre al minima il ritardo, si sente punto dalla vaghezza di
dire: «Ma the si vada a far benedire la scuola serale e chi
la “gestisce„».
Ciò nonostante, la più gran
parte tiene duro per raggiungere un diploma che poi potrà servire
per migliorargli la posizione e la nominata busta di fine mese.
E, per finire in bellezza, con riferimento
allo sciopero dei giorni, scorsi, possiamo dire:«Voi, o signori
interessati che, a dir vostro fate tutto il possibile per rendere
la vita dolce a noi studenti serali, voi, illustrissimi signori che
per mezzo dei giornali rispondete ai sunnominati scioperi con articoli
il cui significato suona all'incirca come: «Ma che cosa volete
di più dalla vita?» ritenetevi invitati a fare una prova:
vivete la nostra vita per un paio di mesi, e ho la impressione che
cambierete idea sugli agi e le facilitazioni delle scuole serali,
non solo, ma forse, a qualcuno di voi, illustri Signori, che accettereste
di fare la prova, non calerebbero solo le illustri arie, bensì
anche la non meno illustre pancetta.
WALTER
da "La
Zanzara" - anno XVII, numero 4, pagine 10-11 - maggio 1963