IL COMPAGNO SCONOSCIUTO

    È il titolo di un articolo-inchiesta di Walter Tobagi pubblicato nel numero di maggio 1963 della Zanzara (anno XVII, numero 4, pagine 10-11). Si affronta il tema dell'Istituto Tecnico Commerciale serale che aveva sede nell'edificio del liceo Parini e si dà spazio a interventi di studenti del serale per raccontare esperienze e problemi degli studenti-lavoratori.
    Le lezioni si tenevano dalle diciannove alle ventidue e trenta, il corso durava sei anni e preside dell'istituto era il professor Garavoglia, preside anche del liceo.

    Le immagini che presentiamo si riferiscono a qualche anno prima. Siamo nel 1958 ed è l'ultimo giorno di scuola. Gli studenti della VI C siedono per l'ultima volta sui banchi per le fotografie ricordo. Poi raggiungeranno il ristorante "Giannina" per festeggiare insieme al preside, professor Garavoglia e ad alcuni insegnanti.

    Le fotografie sono state conservate e fornite da Salvatore Grillo.

    Per ingrandirle, cliccare sulle foto medesime.


Quarantasei anni dopo.


Il compagno sconosciuto
parlano gli studenti della serale

Permettete?
Ci presentiamo

    Grazie. Per l’inaspettata quanto graditissima cessione di questa pagina alle nostre penne di studenti serali pariniani.
    I giorni che ci separano dal termine di consegna di essa sono pochissimi.
    A questa notizia è seguito lo spremere delle sanse del nostro cervello e giù goccioloni di parole e di idee.
    Da qualche parte è stato suggerito che le domande che voi diurni avete sulla punta della lingua sono: chi siete, che cosa fate voi della serale? Rispondiamo senz’altro accennato al come trascorriamo la giornata tralasciando di menzionare la vita di quelli che abitano in provincia e che passano più tempo su treni e tram che nel proprio letto.
    Un velo di nebbia avvolge la città appesantendo la linea delle cose e bagnando strade e giardini, petulante e stridula la sveglia trilla. Sono le 6. La giornata dello studente lavoratore ha inizio. Un colpo d’acqua sul muso, una tazza di latte e una secchiata di un’ora o poco più.
    Poi al lavoro. Quattro ore dense di preoccupazioni: vuoi in un ufficio, vuoi nel vociare di un magazzino, o dietro il banco di una bottega, o a portare a domicilio casse di «barbera» (e qui vedo il risolino un po’ sardonico del mio compagno di banco che ne sa qualche cosa).
    A mezzogiorno lo studente popola le mense e le trattorie e nel parlottio e nel frastuono di stoviglie ripassa mentalmente il metodo di allevamento delle api o la percentuale di nati-morti degli ultimi dieci anni.
    Quindi ritorna per altre quattro ore da chi gli ha comprato la giornata a un tanto il mese.
    Lo rivediamo a scuola, seduto nei banchi in cui voi sedete coi gomiti, come voi, appoggiati sul banco di dietro. Diritto, economia, tecnica, ragioneria, matematica, italiano, storia, geografia, merceologia, francese, inglese... ce n’è per tutti. I professori snocciolano le materie come grani di rosario e noi le digeriamo come i bachi le foglie del gelso.
    Qui è doveroso sottolineare, per amor di verità, lo spirito molto comprensivo della quasi totalità dei nostri insegnanti che capiscono quanto duro possa essere il legno dei banchi dopo una giornata di fatica.
    La notte ci sorprende sul tram o chini sul piatto di minestra guardando tra un boccone e l’altro il finale di studio uno con Walter e nei giorni più fortunati le gambe di Zizi.
    Forse ci chiederete chi ce lo fa fare questa vita. Ce la fa fare la convinzione che il mondo non è da usare così com’è, ma è dovere ed impegno di tutti e di ciascuno di plasmarlo, arricchirlo, renderlo più civile e felice e giusto. La forza di continuare ci è data da questo nostro sentirci responsabili del futuro dei nostri figli e dei figli dei nostri figli i quali vivranno nel mondo che noi avremo loro preparato.

LUIGI RAVASI

Il nostro sciopero

    Il 22 e 23 gennaio un avvenimento insolito, lo sciopero degli studenti serali, ha interessato la stampa e l’opinione pubblica della nostra città.
    Il motivo per il quale detta astensione dalle lezioni ha avuto larga risonanza, va ricercato indubbiamente nel fatto che è stata la capitale del tanto strombazzato miracolo economico ad ospitare la manifestazione, prima nel suo genere.
    Milano, il Centro che nel nostro paese è all’avanguardia in tutti i campi e che da diverso tempo ha assunto e assume l’iniziativa di manifestazioni destinate dopo breve tempo ad avere carattere nazionale, ha voluto così mostrare l’altra faccia del succitato miracolo economico, di quel fenomeno cioè che sembra aver elargito i propri benefici ad un esiguo numero di persone, ad una elite privilegiata, e di riflesso aver provocato una enorme confusione nelle cortecce cerebrali di coloro, che, poverini, ne parlano con entusiastica convinzione, pur dovendo accontentarsi delle briciole di «cotanto ben di Dio».
    I giovani che le sere di martedì e mercoledì scorsi hanno disertato le aule, onde ottenere condizioni più umane di lavoro e di studio, non presentano richieste inaccettabili, non accampano pretese assurde.
    Chiedono che, nel tempo in cui più o meno tutti i settori lavorativi stanno lottando per conseguire giuste migliorie nel campo economico e sociale, anche il loro sacrificio venga considerato con maggior obiettività, che vengano loro assicurate concessioni atte a favorire una più proficua loro applicazione nello studio.
Propongono che siano i datori di lavoro, coloro che domani si avvarranno della loro preziosa opera di ragionieri, di tecnici, ecc. a facilitare la loro frequenza con una riduzione dell’orario lavorativo, mediante una disposizione di legge che permetta loro anche di disporre di periodi di tempo in prossimità di esami e di scrutini, allo scopo di affrontare i medesimi con una preparazione adeguata, senza che al riguardo i loro mensili abbiano a risentire di ammanchi o trattenute.
    Chiedono inoltre che sia lo Stato (oppure il Comune), a fornire i libri di testo agli studenti lavoratori, seguendo l’esempio di numerosi altri Paesi, anche limitrofi al nostro.
Non si possono certamente definire pretenziose le richieste avanzate dal mondo della scuola serale: soprattutto perché dette richieste vengono da giovani costretti sovente a lottare contro la stanchezza che il lavoro di qualche ora prima ha arrecato, contro il sonno quando lo studio di lezioni complesse obbliga a rimanere desti oltre il lecito, e, non di rado, con la poca comprensione di qualche insegnante.
    Anche se i fogli conservati di casa nostra hanno liquidato l’avvenimento dello sciopero con commenti telegrafici, nonché leggermente ironici, anche se alcuni passanti depositari di mentalità decisamente superate, hanno scosso il capo in segno di disapprovazione al vedere il corteo degli studenti dirigersi in piazza S. Stefano, la manifestazione è pienamente riuscita. È stato questo un atto di coraggio compiuto da giovani vani.
    Una agitazione che si può collegare a tante altre che ogni giorno, sotto il cielo di tutti i Paesi, i giovani compiono per liberare le proprie personalità da quei preconcetti e pregiudizi atavici dei quali sistemi educativi di un anacronismo perfetto li hanno gratificati.
È una lotta che non deve conoscere remore: la classe dirigente, la casta dei commendatori con barba a pizzo e fuoriserie bicolore, il ceto di coloro che hanno creato e favorito il dilagare della corruzione, si è più di una volta dimostrata impreparata a risolvere i problemi che assillano il Paese.
    È compito dei giovani specialmente di coloro che, come gli studenti serali, hanno già avuto il primo brusco contatto con la realtà della vita, il combattere perché iniquità, certe nefandezze, abbiano a scomparire ed a non più ripetersi. Sono i giovani che debbono far crollare il piedistallo di ambiguità e di ipocrisia sul quale poggia questa Società sleale e marcia: solo così avranno la certezza di far percorrere ai propri figli una strada sgombra da ostacoli.

UGO GIULIANI

La dolce vita
(dello studente serale)

    Quando le fabbriche e gli uffici della città terminano le loro attività giornaliere ed eruttano dalle loro porte fiumane di operai e di impiegati, un osservatore non prevenuto potrebbe concludere: ecco, tutta questa gente ha terminata la sua fatica giornaliera ed ora se ne va a casa per godere qualche ora di riposo e di tranquillità.
    Non sarebbe un commento esatto; almeno non lo sarebbe per la totalità, e posso anzi affermare che migliaia di ragazzi come me sono pronti a dirvelo come e forse meglio di come non ci riesca io. Vi è una categoria di lavoratori che, la sera, terminato alle diciotto e trenta il suo lavoro remunerato, si reca volontariamente non a casa a riposare dalla fatica giornaliera, ma a seguire le lezioni di un corso scolastico serale che possa migliorare la sua posizione sociale e, diciamolo pure, la sua remunerazione che è quasi sempre esigua.
    Lo studente lavoratore può assommare, settimanalmente e se il datore di lavoro non calca la mano cinquantotto ore di lavoro, le normali quaranta lavorative più diciotto scolastiche.
    Non parliamo poi dei disagi che tutto questo comporta. È superfluo dire che, se le lezioni terminano alle ventuno e trenta, è matematicamente impossibile arrivare a casa prima delle ventidue, mentre, al contrario, è molto ma molto facile arrivarci più tardi.
Inoltre, dopo aver cenato (alle. 22! ) si è costretti a mettere mano ai libri e a fare le ore piccole per prepararsi alle lezioni della sera successiva; il tutto corredato dall’idea che l’indomani ci si deve alzare alle sette per giungere puntuali in ufficio ed evitare la sfuriata del superiore per il ritardo.
    Questo per ciò che riguarda gli inconvenienti tecnici; per ciò che si riferisce poi al fattore morale, il programma non è poi di tanto migliore: lo studente lavoratore è infatti trattato a pesci in faccia sia nell’ambiente lavorativo sia, qui sta il brutto, nell’ambito scolastico. Non è raro il caso che, chiedendo un permesso di entrata in ritardo ci si senta rispondere: «Se invece di andare a mangiare il toast venissi dritto a scuola, arriveresti puntuale»; al che, questo povero diavolo d’uno studente serale che magari ha fatto la strada di corsa per ridurre al minima il ritardo, si sente punto dalla vaghezza di dire: «Ma the si vada a far benedire la scuola serale e chi la “gestisce„».
    Ciò nonostante, la più gran parte tiene duro per raggiungere un diploma che poi potrà servire per migliorargli la posizione e la nominata busta di fine mese.
    E, per finire in bellezza, con riferimento allo sciopero dei giorni, scorsi, possiamo dire:«Voi, o signori interessati che, a dir vostro fate tutto il possibile per rendere la vita dolce a noi studenti serali, voi, illustrissimi signori che per mezzo dei giornali rispondete ai sunnominati scioperi con articoli il cui significato suona all'incirca come: «Ma che cosa volete di più dalla vita?» ritenetevi invitati a fare una prova: vivete la nostra vita per un paio di mesi, e ho la impressione che cambierete idea sugli agi e le facilitazioni delle scuole serali, non solo, ma forse, a qualcuno di voi, illustri Signori, che accettereste di fare la prova, non calerebbero solo le illustri arie, bensì anche la non meno illustre pancetta.

WALTER

da "La Zanzara" - anno XVII, numero 4, pagine 10-11 - maggio 1963